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XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Sant’Agostino

Se in questa vita ci spaventerà salutarmente il brano del santo Vangelo ch’è stato letto, nessuno ci spaventerà dopo questa vita; poiché il frutto del timore è la correzione; non ho detto infatti solo: se c’incuterà terrore la Sacra Scrittura, ma se c’incuterà un terrore salutare; in realtà molti sanno sentire terrore ma non sanno cambiar vita. Ora, che c’è di più sterile d’un timore infruttuoso? In realtà da quanta paura fu preso e cominciò a tremare il cuore di noi tutti all’udire come quel ricco superbo, che aveva disprezzato il povero che giaceva presso la porta del suo palazzo, nell’inferno era tormentato fino al punto che a nulla poterono giovargli neppure le preghiere e le suppliche e gli fu risposto, non crudelmente ma giustamente, che non gli si poteva recare aiuto! Poiché, allorquando la misericordia di Dio lo avrebbe aiutato se si fosse convertito, tra­scurò l’impunità e meritò i tormenti. Mentre era superbo, era stato risparmiato e godeva nell’ostentazione delle sue ricchezze non pensan­do ai tormenti futuri, poiché a causa della superbia né credeva a essi né li temeva. Alla fine tuttavia andò a finire nei tormenti. Ma che vuol dire: “alla fine”? Quanta era infatti la durata del suo pre­stigio e della sua superbia? Quant’è la durata d’un fiore d’erba: Ogni carne è come l’erba e la gloria dell’uomo è come un fiore d’erba; l’erba si secca e il fiore appassisce, ma la parola del Signore rimane in eterno (1 Pt 1, 24).

Dunque, anche se questa nostra carne indossasse abiti di porpore e di bisso, che cos’altro sarebbe se non carne e sangue, ed erba che si secca? Per quanto dunque gli uomini conferiscano prestigio e onore a questa carne, è un fiore, di certo, ma è sempre un fiore d’erba; poiché quando l’erba appassisce, non può conservarsi un fiore dell’erba, ma come appassisce l’erba, così cade a terra il fiore. Noi dunque abbiamo una cosa a cui attenerci per non cadere, poi­ché la parola di Dio rimane in eterno […] Passerà quest’erba, cioè passerà col mondo ogni onore della carne, tutta questa fragi­lità invecchia. Era passata l’erba di quel famigerato ricco, ed era passato anche il fiore di quell’erba; ma se nel tempo in cui era verde la sua erba, e nel tempo in cui la sua erba era fiorente avesse ca­pito la parola del Signore, che rimane in eterno e, dopo aver abbat­tuto e appiattito tutti i gonfiori della superbia, si fosse sottomesso a Dio e, anche se non avesse voluto gettare via le ricchezze, ne avesse data una parte ai poveri giacenti a terra, gli sarebbe stato offerto il refrigerio dopo il tempo di quest’erba; inutilmente chiederà misericordia, colui che, quando poteva, non usò misericordia.

Quando dunque, fratelli miei, veniva letto il Vangelo e senti­vamo le parole: Padre Abramo, manda Lazzaro, perché bagni il suo dito nell’acqua per versarne una goccia sulla mia lingua, poiché soffro terribilmente tra queste fiamme, quale colpo abbiamo rice­vuto tutti nel cuore per paura che ci capiti qualcosa di simile dopo questa vita e allora le nostre preghiere siano inutili! Poiché non c’è possibilità di correggersi quando questa vita sarà passata. Questa vita è come uno stadio; o vinciamo qui o rimaniamo vinti. Chi è vinto nello stadio cerca forse di lottare per cercare di nuovo d’otte­nere la corona già perduta? Che dire dunque? Se abbiamo sentito paura, se ci siamo spaventati, se il nostro cuore ha tremato, convertiamoci fin quando abbiamo tempo: questo è davvero il timore fruttuoso. Nessuno infatti, fratelli, può convertirsi senza timore, senza tribolazione, senza trepidazione. Ci battiamo il petto quando ci tormenta il rimorso dei peccati: per il fatto che ci battiamo il petto, vuol dire che abbiamo nell’interno qualcosa, forse un cattivo pensiero; si manifesti nella confessione e forse non ci sarà più nulla che ci tormenti; si faccia in modo che tutti i peccati si rivelino nella confessione. Così per esempio anche quel ricco, gonfio di superbia per il fatto di vestirsi di bisso, aveva nell’interno qualcosa: avesse voluto il cielo che ciò fosse uscito fuori quando viveva: forse non sarebbe stato punito con le fiamme eterne; siccome però allora era superbo, quell’umore aveva prodotto un bubbone, non un’eruzione. Il povero Lazzaro invece giaceva davanti alla porta pieno di piaghe. Nessuno dunque fratelli, si vergogni di confessare i peccati, poiché il giacere a terra è uno stato che si addice all’umiltà. Tuttavia consi­derate come cambia la sorte. Quando sarà passata la tribolazione delle confessioni, verrà la consolazione dei meriti poiché verranno gli angeli, porteranno in alto questo poveretto coperto di piaghe e lo porteranno nel seno d’Abramo, cioè nel riposo eterno, nel recesso del gran padre; il seno infatti significa un recesso misterioso ove potrà riposare chi è spossato.

Giaceva dunque presso la porta questo povero coperto di piaghe, ma il ricco lo disprezzava; quello bramava sfamarsi degli avan­zi che cadevano dalla sua tavola; con le sue piaghe nutriva i cani, ma egli non era nutrito dal ricco. Considerate con attenzione, fra­telli, che il povero è uno che ha bisogno: Beato dice il Salmista  chi comprende il misero e il povero ( Sal 40, 2); riflettete bene e non disprezzate il povero come uno coperto di piaghe che giace presso la porta. Da’ al povero, poiché lo riceve Colui che anche sulla terra volle essere povero ma dal cielo vuole arricchirci. Poiché così dice il Signore: Io avevo fame e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete accolto nella vostra casa ecc. Ed essi: Ma quando ti abbiamo visto affaticato o assetato o nudo o forestiero? Ed egli: Tutte le volte che lo avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei [fratelli], lo avete fatto a me (Mt 25, 35-40). Il Signore mosso da misericordia volle che nei suoi fratelli più piccoli, soffe­renti sulla terra, ci fosse in certo qual modo la propria persona per soccorrere dal cielo tutti i sofferenti. Tu dunque dai a Cristo quando dai al povero; o temi forse che un custode sì qualificato perda qual­cosa o un ricco così grande non restituisca? Onnipotente è Dio, onni­potente è Cristo; non potrai perdere nulla. Affida la tua ricchezza a lui e non perderai nulla. Quando gliela affidi? Quando la dai al povero. Siffatta ricchezza non passerà quando sarà passata la carne come l’erba e la gloria dell’uomo appassirà come il fiore dell’erba. Pertanto, fratelli, se siamo rimasti atterriti che ci possa capitare di soffrire dopo questa vita tali pene e tormenti tra le fiamme ardenti, quali soffriva il ricco superbo e privo di misericordia, emendiamoci ora quando c’è tempo; poiché allora non sarà possibile soccorrere, perché non ci sarà possibilità di correggersi: intatti si corre in soc­corso ad uno quando si corregge. E’ quella attuale la vita della correzione, la vita del soccorso e dell’aiuto.

Cfr., Discorso 113/B

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