Chiunque si fosse recato in Burkina Faso qualche anno fa, ne avrebbe riportato la gentilezza e la cordialità di un popolo dolce e sorridente. Era, questa, gente che, seppure nella povertà più assoluta, si occupava di te: offrendoti un sorso d’acqua per rinfrescare quella calura, cedendoti il posto all’ombra, chiedendoti di continuo: “Come va?”.
Dopo pochi giorni non ti accorgevi se il tuo interlocutore vestisse i tratti di un cattolico o di un musulmano, se avesse il portamento e la dignità di un anziano praticante la religione tradizionale. Era un burkinabè e questo bastava a renderti contento di essere li e ripetevi a te stesso: “Questo viaggio è la cosa giusta”.
Da due o tre anni ormai il clima è cambiato. Le notti sono più buie, meno gente in giro e meno luci accese e al mattino i sorrisi si smorzano per far posto a labbra tirate e distorte per la grande preoccupazione che aleggia ovunque.
Gruppi di terroristi, provenienti dal Mali o dal Niger o, meno spesso, dalla frontiera a est del Paese, fanno incursioni omicida. Assaltano chiese e non esitano a trucidare inermi fedeli che trasportano la statua della Madonna facendola poi a pezzi. Nessuna distinzione: vecchi, bambini innocenti, donne che hanno solo la colpa di essere lì a presenziare con devozione semplice alla funzione in onore di Maria o a partecipare alla Messa. A volte semplicemente si travano nel posto sbagliato in una qualunque strada semideserta.
La pace e la convivenza di questo popolo meraviglioso è diventata la grande nemica a vantaggio di coloro che usano ogni violenza per istigare le inimicizie anche dentro le case. Sì perchè, da sempre le famiglie in questo luogo sono composte di appartenenti a religioni diverse che convivono, condividono e si amano, legati dalla parentela del vincolo di sangue. Dimentichi della loro rispettiva appartenenza o piuttosto rispettando la comune ricerca di Dio, questa gente vive pacificamente e proprio questo legame è la grande resistenza all’odio voluto dal terrore.
Dai nuclei primordiali delle famiglie fino alle istituzioni maggiori, sempre ci si accoglie, ci si riconosce e ci si sostiene.
Un vescovo del luogo ha raccontato che un capo musulmano, lo ha incontrato per dirgli che quella capanna, in un vicino villaggio, non era degna di accogliere quel Dio che loro, i cattolici, pregavano. Per questo prestò il suo aiuto e sorse una piccola, ma bella chiesetta più adatta forse allo scopo, ma sicuramente costruita con la malta del rispetto e della reciproca accoglienza.
E.B.
